Imprese, soprattutto le piccole e medie, che non riescono a pagare dipendenti e fornitori; famiglie che non accedono ai mutui…
La ripresa italiana stenta a decollare perché – sembrerebbe – “non ci sono soldi”. Ma è davvero il denaro ciò che manca? Con il Quantitative Easing (QE, “alleggerimento quantitativo”), cioè l’acquisto dei titoli detenuti dalle banche, la Banca centrale europea ha tentato di immettere nuova liquidità nel sistema economico europeo e di incentivare i prestiti bancari verso le imprese. Un’altra misura che avrebbe dovuto sortire tali effetti è il taglio dei tassi di interesse sui depositi, ormai addirittura negativi. Le banche dunque “pagano” per tenere i propri capitali al sicuro nelle casse delle Bce – cosa che dovrebbe incentivarle a concedere più prestiti.
Evidentemente, però, qualcosa non ha funzionato. Il problema è anzitutto distributivo: nonostante le misure adottate dalla Bce, le banche tendono a non concedere prestiti, specie alle piccole e medie imprese. Secondo i risultati di una ricerca condotta dalla Banca d’Italia e citata da Andrea Boda a Roberta Carlini su Pagina 99 (cfr. rapporto Una stima del razionamento del credito alle imprese con dati banca-impresa), “le restrizioni quantitative all’offerta di credito hanno raggiunto dei picchi alla fine del 2008 e alla fine del 2011, per poi progressivamente diminuire nel tempo. L’andamento degli indicatori ha riflesso in larga parte l’incremento delle sofferenze bancarie e la minore disponibilità di garanzie da parte delle imprese". L’euforia della speculazione e del credito “facile” del periodo pre-crisi si sono così convertiti nel loro rovescio, il rifiuto del rischio.
Il quadro economico è incerto: a febbraio 2016 Lawrence Summers – ex Segretario al Tesoro degli Stati Uniti (sotto la presidenza Clinton, dal 1999 al 2001) ed economista piuttosto noto – ha ipotizzato che il mondo si trovi nel primo albeggiare di una “stagnazione secolare”, in cui l’eccesso di risparmio si combina con un’insufficiente domanda di investimenti e tassi di interesse vicini (o addirittura inferiori) allo zero.
Mentre il tema di uno sviluppo senza crescita è discusso ben oltre la cerchia dei sostenitori della “decrescita felice”, le domande di finanziamento, vale a dire di consumo o produzione di beni e servizi, stentano a trovare sbocchi. Il problema della riattivazione dei canali del credito resta dunque attuale e non si può ridurre alle scelte di politica economica: se, infatti, l'ipotesi di una possibile strategia keynesiana per la crescita resta sul tavolo (almeno in teoria), è necessario che anche le politiche monetarie facciano la loro parte. Una parte che finora è stata imponente sul piano finanziario, ma senza equivalenti effetti sulla cosiddetta “economia reale”.
Che fare, dunque? Le soluzioni che si stanno delineando sono di quattro tipi:
1. la distribuzione di denaro direttamente alle persone (helicopter money)
2. il prestito tra privati
3. le monete virtuali
4. le monete complementari.
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Le prime due proposte hanno in comune il fatto di prevedere un processo di disintermediazione rispetto ai canali tradizionali di distribuzione del denaro (in primis, le banche). Nella stessa direzione, del resto, è orientata anche la possibilità offerta dalla stessa BCE di acquistare obbligazioni emesse direttamente dalle imprese. Una proposta più dirompente rispetto all’ortodossia economica è quella l’helicopter money che – come suggerito da questa espressione introdotta per la prima volta dall’economista Milton Friedman nel 1969 – fa riferimento a una politica monetaria “estrema”, in cui le banche centrali stampano denaro per distribuirlo direttamente ai cittadini. Al di là dell’opzione provocatoria di “lanciare soldi dall’elicottero” per far ripartire i consumi, il fatto che tale misura sia discussa su testate autorevoli come il Financial Times denota quanto sia serio il problema della distribuzione della liquidità immessa nel sistema. L’idea è diffusa in ambito anglosassone con l’espressione Quantitative Easing for the People, mentre gli economisti Marco Bertorello e Christian Marazzi parlano di Qe sociale, vale a dire una politica monetaria che “potrebbe dare vita a un ventaglio di offerte di denaro. Dal mutuo per la prima casa senza interessi o per prestiti a tasso zero, fino a fornire direttamente una somma a perdere per i soggetti socialmente più in difficoltà. […] Inoltre un Qe sociale potrebbe fornire risorse per un piano di opere per la messa in sicurezza dei territori e delle infrastrutture, un piano che potrebbe essere recuperato attraverso un’imposizione fiscale sul fronte finanziario, cioè il principale beneficiario dei Qe convenzionali”.
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Una seconda soluzione al problema dell’inefficace distribuzione del denaro stampato dalla Banche Centrali rimanda al prestito “tra pari” (in inglese, peer-to-peer lending), che implica un rapporto diretto tra domanda e offerta di credito, senza passare per gli istituti bancari. Il fatto che sempre più servizi finanziari siano ormai disponibili online ha ridimensionato la centralità degli sportelli e ridotto il numero di clienti che si recano fisicamente in banca per effettuare operazioni ordinarie sul proprio conto corrente (es. disposizioni di pagamento). Un’ulteriore evoluzione del virtual banking consiste nella “disintermediazione finanziaria”: si stanno infatti diffondendo piattaforme virtuali in cui utenti privati e aziende possono concedere ed ottenere prestiti senza il coinvolgimento degli intermediari finanziari autorizzati per legge a svolgere l’attività creditizia (tra cui, in primis, le banche). Il fenomeno è noto come “prestito tra privati” o, in inglese, peer-to-peer lending e social lending. La matrice è anglosassone: Zopa, il primo sito dedicato, è nato nel Regno Unito nel 2005 e, da allora, ha consentito l’erogazione di prestiti per oltre 1,5 miliardi, grazie alla disponibilità di circa 53.000 persone che hanno prestato per cifre comprese tra gli 1 e i 10 milioni di dollari.
Come precisato sul sito di Borsa Italiana, “nell’ordinamento giuridico italiano non c’è una disciplina specifica del social lending. […] Il prestito di denaro tra privati non si configura come esercizio professionale dell’attività creditizia (che può essere esercitata solo dagli intermediari finanziari autorizzati dalla Banca d’Italia […]), bensì come prestiti personali non finalizzati. Resta comunque possibile creare una linea di prestiti P2P finalizzati, per esempio, all’avvio di attività di impresa o all’acquisto di impianti e macchinari”. In genere, ai creditori vengono pagati degli interessi più alti rispetto a quelli riconosciuti dagli intermediari finanziari tradizionali; allo stesso tempo, i costi del prestito per i contraenti restano contenuti grazie alla riduzione delle spese di intermediazione.
(1-continua)
foto di Alison Benbow (CC BY 2.0)
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