Fare impresa, fare squadra, riattivare strade di crescita economica in modo responsabile, sostenibile e con attenzione ai luoghi, alle persone, alla storia e al futuro. Sono temi che entrano nel cuore del dialogo Tra Terra e Cielo che apre i Percorsi tra economia e felicità di ISAO 2016. Ma sono anche i temi che appassionano Maurizio Dematteis, ricercatore, giornalista e videomaker, fondatore, insieme ad altri, di Dislivelli, associazione che è nata nel 2009 dall’incontro tra ricercatori e comunicatori e giornalisti. Spiega Dematteis: " Dislivelli opera per individuare modelli e buone pratiche nate in montagna per valorizzarle e comunicarle, e far capire che una alternativa è possibile, per le nostre valli”. Perché le terre alte sono luoghi di cambiamento, di nuova economia, che hanno molto da insegnare anche al resto del territorio.
Perché la montagna è un paradigma della trasformazione economica in atto?
Parto da una citazione. Di recente è uscito un testo di Aldo Bonomi, La società circolare, che chiarisce bene un passaggio che stiamo vivendo: c’è stata una fase in cui il modello fordista, e poi quello post fordista hanno svuotato le montagne, ma oggi sono ormai dei modelli superati e – dice Bonomi - siamo entrati in una fase nuova, orientata all’economia circolare, in cui è la socialità alla base della creazione del valore economico. È una fase, quindi, in cui la distrazione che c’è stata nei confronti delle terre alte può venire meno e si capisce che questi territori hanno delle opportunità, dettate da tanti fattori, come, per esempio, la green economy, o il valore che assumono gli ecosistemi ambientali… Inoltre in queste aree il modello sociale arcaico non c’è più: il che è una perdita, certo, ma significa anche che esistono spazi liberati che permettono di sperimentare. E la montagna può diventare anche un laboratorio di innovazione.
Ci sono esempi di questa innovazione nell’area alpina?
Ci sono tanti esempi, un po’ a macchia di leopardo. Non è certo un fenomeno che coinvolga tutte le terre alte, anche perché c’è montagna e montagna: ci sono le valli del turismo di massa e quelle dello spopolamento. Però ci sono. Uno di questi esempi è il Laboratorio Naturale Gestalp, nato in Val Varaita (Cuneo), che pure è soggetta a forte spopolamento. Nel gruppo che lo ha promosso c’è la fondazione universitaria Cerigefas, di Sampeyere, che è legata al dipartimento di Veterinaria dell’Università di Torino e si occupa di ungulati. Lì è nata la riflessione sul fatto che due punti critici potevano essere trasformati in punti di forza: da un lato, l’abbandono del territorio, con il conseguente avanzare della boscaglia che occupa terrazzamenti, prati, pascoli, ma che però può anche garantire materie prime rinnovabili in gran quantità; dall’altra, la scomparsa del modello di gestione tradizionale, il che è un peccato, ma lascia ancora aperta l’opportunità di elaborare nuovi modelli gestionali sostenibili e innovativi, attenti ai nostri figli e ai nostri nipoti.
E quindi cosa hanno inventato?
Sono partiti da un’analisi di quelle che potevano essere le risorse endogene e rinnovabili della valle, senza ricorrere a risorse che rischiavano di creare dipendenza dall’esterno. E quindi: acqua, legno, erba e animali, da allevamento e selvatici. Per darsi un’autonomia finanziaria hanno creato una società che gestisce due centraline idroelettriche, che a loro volta hanno permesso di garantire un mutuo bancario significativo per far partire le altre fasi del progetto.
È importante sottolineare che tutto questo lo hanno fatto coinvolgendo tutti, o la gran parte dei consorzi e delle istituzioni della valle: gli allevatori, i cacciatori, gli agricoltori, quattro comuni, il bacino imbrifero.
Dopo cosa è successo?
Hanno fatto un piano forestale, hanno messo a disposizione 4mila ettari di bosco e hanno creato un impianto di cogenerazione a cippato, che funziona con legni meno nobili, come il pino strobo, che alimenta non solo le attività di Gestalp, ma anche gli uffici pubblici del comune di Frassino, dove ha sede questa realtà. C’è anche un centro di lavorazione delle carni, e uno spaccio aziendale, collegandosi all’indotto turistico. Inoltre hanno redistribuito l’acqua utilizzata per fare energia in un sistema di irrigazione che serve 500 ettari agricoli.
Partiti a progettare nel 2007, nonostante la crisi economica e mille ostacoli, sono attivi da 4 anni e danno lavoro a 12 persone, con la stima arrivare a 22 entro il 2018. Per una valle come la Val Varaita non è poco. È un esempio importante che in altre aree, anche di pianura, non sarebbe stato realizzabile.
Ci sono lezioni da imparare, da questa storia e da altre simili, quindi?
Si, certo. Parto da un altro esempio: in Valpelline, valle meno turistica della Valle d’Aosta, alcuni visionari di valle che volevano puntare sui punti di forza autentici del territorio, dai prodotti caseari, al vino al paesaggio, hanno dato vita al consorzio NaturaValp. Partito con pochi pionieri, a poco a poco il consorzio si è affermato e ora coinvolge il 90% degli esercenti che hanno capito che fare squadra e puntare su un turismo responsabile e dolce può creare un indotto interessante, che ha numeri in crescita, nonostante la vicinanza con le valli della “neve firmata”, come la definisce Mauro Corona.
Il turismo è anche un rischio, se pensiamo al turismo di massa…
Per la montagna il turismo è imprescindibile, ma deve essere un turismo dolce, responsabile, rispettoso delle specificità del territorio. Il che non vale per il turismo di massa. Vale invece, per esempio, per il turismo enogastronomico: i prodotti montani, non ha senso farli entrare nella grande distribuzione, meglio invece educare a gustarli sul posto, andando incontro alla storia dei luoghi e delle popolazioni da cui nascono.
Noi da quattro anni abbiamo promosso il progetto Sweetmountains, per valorizzare e presentare opportunità di turismo dolce: insieme ai “gestori dei luoghi” presentiamo trekking, a misura di famiglia, che vogliano scoprire le tante ricchezze nascoste delle valli. Siamo ormai a 100 luoghi tra Val d’Aosta, Liguria e Piemonte, con 300 imprenditori e attori coinvolti…
Tutto questo è un modello di economia nuova. Con quali ingredienti?
È fondamentale partire dalle comunità: sono le comunità il soggetto a cui noi ci siamo rivolti per far incontrare le esigenze degli imprenditori, che devono campare, e le esigenze dei territori, che se vogliono evitare di rovinarsi non devono superare una certa soglia. Mettere insieme, per esempio, i gestori dei rifugi e gli studiosi è stato difficile, ma vincente. È il punto di incontro tra chi studia i fenomeni e chi vive la realtà che genera strade nuove.
C’è una virtù tipicamente montana di cui far tesoro?
Sì, direi il senso del limite. È un valore importante, che la montagna ci può insegnare di nuovo: in ambito ambientale, economico, sociale.
Nella foto di Dislivelli.eu, Vittorina Prina, imprenditrice della Val Cannobina con Erba Bona
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