Una nuova economia, da Napoli a Trento

Da Genovesi alla Sec: un modello per l’Europa
09 Ottobre 2014 - 09:45
Lezioni di economia civile di Antonio Genovesi

È divenuta nota al pubblico nel 2004 quando è uscito, per Il Mulino, Economia civile di Stefano Zamagni e Luigino Bruni, in cui gli autori presentano un nuovo paradigma economico, sia da un punto di vista teorico che storico, in cui l’homo oeconomicus, egoista e razionale, lascia il posto al homo reciprocans che vive di relazioni con gli altri. Si chiama “economia civile” e ha radici antichissime, ma la sua sistematizzazione è figlia di quello stesso secolo dei Lumi che vide emergere l’opera di Adam Smith.

E così accanto alla figura di Smith, comunemente considerato il padre dell’economia politica, si è iniziato a far luce su Antonio Genovesi, autore di Lezioni di economia civile (1765) e primi titolare al mondo di una cattedra di economia presso l’Università di Napoli.

Che questa nuova prospettiva stia cambiando il modo di guardare ai fatti economici lo dice anche un altro indizio. Sempre l’editrice Il Mulino nel 2010 ha pubblicato una nuova edizione del testo universitario di Microeconomia inserendo cinque capitoli dedicati ai temi dell’economia civile, quali i beni relazionali, la pubblica felicità e le imprese a movente ideale. E nel 2013 è anche nata una scuola, la Sec (Scuola Economia civile). Anche i giornali, ormai, considerano l’espressione di dominio pubblico: Leonardo Becchetti ha delineato su Avvenire le linee guida per una nuova macroeconomia civile per l’Europa.

Ma quale è il pensiero che sta dietro a questa espressione? Lo chiediamo a Michele Dorigatti, docente e membro del consiglio direttivo della Sec.

Perché si chiama economia “civile”?

È un’espressione che si comprende meglio confrontandola con un’altra: economia politica. La ricerca etimologica ci è d’aiuto nel distinguere i due paradigmi. Civile viene da civitas mentre politico deriva da polis. Nel mondo romano la civitas era aperta a tutti i soggetti, mentre la polis greca era, di fatto, un gioco d’élite, una società dove contavano solo pochi fortunati: i laborantes, gli schiavi, le donne erano categorie escluse dalla vita democratica delle città greche. L’economia o è inclusiva o non è; e quando non è, diventa in-civile.  L’Occidente post-moderno ci offre un’immagine più che evidente: un miliardo di consumatori è dentro il mercato, sei miliardi di persone ne sono ai margini. E qualcuno ancora si stupisce perché gli esclusi premano per entrarvi…

Cosa ha da dirci oggi Antonio Genovesi?

A scuola ci è stato raccontato che la scienza economica nasceva in Scozia, per merito di Adam Smith (che in realtà insegnava logica e filosofia morale all’Università di Glasgow). Non solo: che l’obiettivo finale dei commerci era la ricchezza delle nazioni e che le imprese si facevano concorrenza sui mercati all’unico scopo di aumentare il profitto. Ma questo è solo uno dei modi di guardare all’economia. Gli storici del pensiero economico, come Pier Luigi Porta, Luigino Bruni, Alessandra Smerilli e Stefano Zamagni, ci ricordano che l’economia di mercato è un’invenzione italiana, e non un’invenzione degli inglesi. Il napoletano Genovesi (1713-1769) scrive infatti il primo manuale di economia, tra l’altro redatto in italiano e non in latino come era uso in quel tempo.

Genovesi è tornato di grande attualità perché ci ricorda alcune verità che è bene tenere a mente: che l’economia nasce in Italia, e non altrove; che essa ha come fine ultimo la felicità e non solo il benessere (materiale); che le imprese hanno un’anima e non solo freddi interessi; che il profitto è essenziale ma non esaurisce il fine ultimo del perché si fa impresa; che la cooperazione ha valore quanto la competizione; che l’economia sganciata da una solida base etica finisce per divorare se stessa e travolgere le società che ha contribuito a rendere ricche.

Come è nata l'idea di costituire una scuola all'insegna dell'economia civile?

Ci siamo fatti ispirare da Leonardo, uomo d’ingegno ma anche artigiano e imprenditore, che così si esprimeva: “Chi s’innamora di pratica senza scientia è come ‘l nocchiere che entra in naviglio senza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada”. Ci è parso il momento giusto per creare un luogo fisico, dove non soltanto si diffonde la conoscenza, ma soprattutto la si produce. E producendola, insieme ai contributi della comunità dei docenti e di tanti imprenditori e manager civili con cui quotidianamente ci confrontiamo, ci si sforza di integrare e di contaminare il turbocapitalismo finanziario: un modo di fare business oggettivamente insostenibile, da più punti di vista: umano, ambientale e, sembra un paradosso, anche economico!

L’economia civile non è la scoperta dell’acqua calda, è uno sguardo diverso, meno ideologico e più completo, sull’economia e sulla società: essa affonda le sue radici nell’Umanesimo civile, si sviluppa nell’Illuminismo, si scontra con il paradigma dell’economia politica (quello di Smith, per capirci), uscendone sconfitto, e infine, al pari di un fiume carsico, riemerge in superficie sull’onda delle crisi e delle bolle, che sempre più frequentemente e velocemente, dal 1970 in avanti, devastano la funzione civilizzatrice che i mercati hanno sempre svolto nel corso della storia. L’economia civile è uno spazio economico nel quale trovano posto tutte quelle forme d’impresa nelle quali l’elemento della relazionalità è il tratto caratteristico del loro modus agendi.

Di fronte a una crisi che non passa (siamo al settimo anno!), non basta aggiustare qualche arnese vecchio per trarsi definitivamente fuori da essa. Secondo gli economisti civili di oggi, serve una svolta antropologica! Solo una visione dell’uomo diversa è in grado di generare una teoria economica adatta ai tempi. Non possiamo più dare credito a chi ci racconta che l’uomo è, per natura, opportunista e calcolatore. Anche i risultati dell’economia comportamentista ci dicono che solo una parte, e minoritaria, degli esseri umani ad ogni latitudine si comporta come farebbe l’homo oeconomicus, massimizzando la sua funzione d’utilità. Per il premio Nobel Amartya Sen questo essere iper-razionale è più simile a un idiota sociale che ad una persona.

Dopo la nascita in Toscana, avete scelto Trento, come nuovo polo. Perché?

Il Trentino è un territorio particolarmente fertile per i temi che l’economia civile promuove. Si tratta infatti di un territorio di piccole dimensioni (il 2% della superficie italiana), caratterizzato da una fortissima presenza di imprese cooperative e sociali, in tutti i settori dell’economia locale. Una presenza storica, che ha più di un secolo di vita. Le cooperative sono l’ultimo frutto dell’albero dell’economia civile: imprese che hanno molte delle caratteristiche delle “imprese civili”: profittevoli, democratiche, e attente ai bisogni della comunità e dell’ambiente.

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