Gestire dal basso i beni comuni: il caso Torino

Il capoluogo piemontese ha adottato a gennaio 2016 il Regolamento comunale
16 Settembre 2016 - 13:30
La Cavallerizza - foto di Cavallerizza Reale (CC BY-SA 2.0)

 

Passeggiando per Torino la sagoma della Mole Antonelliana la si incontra più volte. E chi l'avrebbe detto che il simbolo di Torino abbia così tanto in comune con i cosiddetti “beni recuperati”: spazi e luoghi abbandonati – caserme, fabbriche, ferrovie, abitazioni, palazzi storici, teatri per fare alcuni esempi – già sfruttati e “posseduti”, salvati dal degrado del tempo, riscoperti nella loro destinazione d'uso e resi accessibili alla cittadinanza. Era stata concepita per essere un tempio israelitico, la Mole, ma il progetto di Alessandro Antonelli non piacque alla comunità ebraica torinese; così  il Comune di Torino la acquistò  per farne un monumento all’unità nazionale finché, nel corso dei decenni e dopo varie vicissitudini, non fu riconvertita a spazio museale. Fortuna che qualcuno ci ha pensato, a trovare di volta in volta un nuovo modo di valorizzare la Mole. Altrimenti non sarebbe stata la stessa storia.

Dall'11 gennaio 2016 Torino è la maggiore città in Italia ad aver scelto di adottare un regolamento per gestione "dal basso", nel rispetto del principio di sussidiarietà, di spazi e opere sul territorio cittadino. L'amministrazione condivisa dei beni comuni avanza, in Italia, passo dopo passo. Nel frattempo, infatti, in attesa del via libera ufficiale a Genova, Milano e Roma, la lista delle città che hanno fatto questa scelta si allunga: a settembre, per esempio, alla lista si è aggiunta Reggio Emilia. L'elenco è tenuto costantemente aggiornato da Labsus, l'associazione che promuove la cultura della sussidiarietà e che è spesso  partner delle amministrazioni nell'attuazione dei patti. Sabato 17 settembre Labsus è con noi a Torino, al ristorante Ratatui per una Osteria di Pop Economix dedicata proprio al tema dei beni comuni sotto la Mole. Anche per fare il punto su cosa sta succedendo in città.

Quanti sono gli immobili privati e pubblici abbandonati e dismessi a Torino? Una mappa non ce l'abbiamo, ma con un po' di sforzo il cittadino curioso può divertirsi a trovare quelli pubblici su OpenDemanio, che geolocalizza gli immobili appartenenti allo Stato suddividendoli anche per categoria di appartenenza (patrimonio disponibile, patrimonio indisponibile, demanio artistico-storico). Chi invece fosse a conoscenza di spazi inutilizzati e cova un progetto per dargli nuova vita, può fare una segnalazione su Disponibile!, iniziativa che si propone di mettere insieme le buone pratiche già attive sul territorio nazionale per il riutilizzo di beni ed aree abbandonate. Da non dimenticare, inoltre, il contributo di Labsus, il laboratorio per la sussidiarietà che raccoglie le buone pratiche di amministrazione condivisa dei beni comuni e che di Torino parla spesso.

Di aree diventate marginali, ma riscoperte e trasformate in spazi di aggregazione sociale e culturale a Torino se ne trovano un bel po'. In alcuni casi è stato il Comune stesso ad avviare il processo di riqualificazione urbana, in altri i cittadini si sono mossi e organizzati in difesa del bene pubblico; non mancano poi le iniziative private. A zonzo per la città e per i quartieri che la caratterizzano, andiamo a scoprire alcuni tra gli spazi “rigenerati” e la loro storia.

 

Prima tappa – La Cavallerizza Reale

Nel centro storico di Torino, poco lontano dalla Mole Antonelliana, c'è la Cavallerizza Reale. Iscritta al patrimonio UNESCO dal 1997, nell'immaginario dei torinesi è luogo di cultura per eccellenza avendo ospitato gli spettacoli del Teatro Stabile di Torino fino al 2013. Poi ha prevalso l'abbandono e l'incuria e dal maggio 2014, quando un gruppo di cittadini denominatosi Assemblea Cavallerizza 14:45 l'ha occupata per sottrarla al progetto del Comune di venderla, è diventata per tutti il “caso Cavallerizza”. Da quando l'Assemblea si è messa all'opera per “liberare un bene comune dall’abbandono e restituirlo alla cittadinanza”, l'agenda proposta è ricca di appuntamenti culturali e artistici e la partecipazione massiccia. Imperdibili i giardini reali, ripuliti e sempre aperti al pubblico: un angolo di verde incontaminato in pieno centro storico. Nonostante i risultati raggiunti, la privatizzazione della Cavallerizza resta una questione aperta: l'Assemblea ha di recente chiesto alla neo sindaca Chiara Appendino un confronto per “riaffrontare in modo nuovo e sistematico l’intero caso” con l'obiettivo di tutelare il patrimonio storico, artistico, culturale cittadino insieme alla popolazione.

 

Seconda tappa – Gli ex bagni pubblici

Costruiti nel primo decennio del Novecento e voluti dal Comune per migliorare le condizioni igienico sanitarie della popolazione, ci si imbatte (più o meno consapevolmente!) negli edifici che ospitano gli ex bagni pubblici un po' ovunque in città. Alcuni di loro, pur mantenendo attivo il servizio docce, sono stati oggetto di recupero urbano e oggi ospitano tre Case del quartiere: i Bagni Pubblici di via Agliè in Barriera di Milano, il Barrito a Nizza Millefonti e la Casa del quartiere di San Salvario. Ogni Casa è stata pensata e progettata ad hoc per rispondere alle esigenze degli abitanti del quartiere: sviluppo e valorizzazione del territorio, interazione e incontro, intercultura, condivisione, aggregazione, sostenibilità sono le parole chiave che accomunano questi spazi.

 

Terza tappa – Il Motovelodromo Fausto Coppi

Non tutti in città sanno che Torino ha un motovelodromo intitolato a Fausto Coppi. Si trova in corso Casale, ai piedi della collina, e dal 1920, anno della sua inaugurazione, ha ospitato competizioni ciclistiche, partite di rugby, calcio e gare di ciclismo su pista. Da anni ormai in disuso, un comitato spontaneo di abitanti del quartiere ha convinto l'amministrazione comunale a restituirgli la vocazione sportiva, al posto di trasformare l'abbandonato motovelodromo nell'ennesima area commerciale.  Pezzi di Motovelodromo è il gruppo di associazioni e cittadini a cui il Comune ha affidato la gestione e l'animazione dello spazio, dando vita a quella che Labsus ha definito “la prima esperienza di amministrazione condivisa” a Torino.

 

Quarta tappa – L'ex caserma La Marmora

Al centro di un dibattito acceso è finita l'ex caserma La Marmora di via Asti, in Borgo Po, uno dei quartieri più esclusivi della città. Si tratta di un luogo con una forte valenza storica, testimonianza della violenza nazifascista e della lotta di Liberazione. Dopo l’8 settembre 1943, infatti, la caserma divenne il quartiere generale dell'Ufficio politico investigativo della Guardia nazionale repubblicana, trasformandosi così in luogo di detenzione e di tortura per tutti i sospettati di appartenere alla Resistenza.  Per opporsi al suo abbandono e al progetto di essere venduta a privati (il Comune di Torino ha già venduto l'immobile alla Cassa Depositi e Prestiti), nell'aprile 2015 alcuni aderenti all'associazione Terra del Fuoco l'hanno occupata richiamando l'attenzione sulla necessità di destinare spazi come quello dell'ex caserma a risolvere il problema dell'emergenza abitativa. Così come alla Cavallerizza Reale, anche in questo caso si sono organizzate iniziative per favorire l'incontro e l'integrazione tra cittadini, dall'apertura di una mensa sociale alla creazione di un orto urbano. Nel novembre dello stesso anno, però, l'ex caserma è stata sgomberata. Secondo notizie recenti, a occuparsi della sua riqualificazione sarà la  Cassa Depositi e Prestiti con un progetto delegato a privati che vorrebbe farla diventare “quartiere dell'innovazione” con moduli abitativi e spazi di co-working.

 

Quinta tappa – Open Incet

Ci spostiamo ora in Barriera di Milano dove, a proposito di innovazione, il Comune ha già eletto il suo distretto dedicato all'imprenditoria giovanile e alle start-up. Stiamo parlando di Open Incet, il Centro di Open Innovation della città di Torino che sorge sul sito dell'ex Incet, complesso industriale da tempo in disuso e oggetto dell'importante programma comunale di rigenerazione urbana Urban Barriera.

 

Sesta tappa - Agrobarriera

Degno di nota, sempre all'interno di Urban Barriera, troviamo il progetto Agrobarriera che ha permesso di riqualificare un'area verde di 2.000 metri trasformandola in un grande orto urbano collettivo: “uno spazio destinato alla comunità dove promuovere e diffondere valori come la partecipazione, la solidarietà e l’attenzione alle tematiche ambientali e ai comportamenti sostenibili” si legge sul sito del Comune.

 

Settima tappa – Lo spazio MRF

L'ultima tappa della nostra passeggiata ci porta a Mirafiori, dove incontriamo un altro pezzo della storia di Torino restituito alla collettività: MRF, un’area di circa 100 mila metri quadrati, un tempo centro logistico della FIAT (ex DAI) e oggi destinata ad ospitare eventi culturali, manifestazioni e attività ricreative per favorire la coesione urbana e l’aggregazione sociale.

 

Cosa rende speciali questi luoghi?

In parte lo abbiamo già detto, ma vale la pena ripeterlo. La riscoperta e il riuso di spazi in disuso  - quando l'operazione di recupero non è guidata da mere finalità commerciali o speculazioni edilizie, intendiamoci!  - rivalutano l'importanza della memoria e dell'identità dei territori, rafforzano i legami tra quartieri e abitanti e alimentano la volontà di “prendersi cura”. In questi luoghi, ridisegnati a immagine e somiglianza del cittadino che li abiterà, c'è spazio per esprimersi liberamente, per conoscersi e incontrarsi tra generazioni e culture differenti, per aiutarsi e condividere buone pratiche, per esercitare la cittadinanza attiva, per riscoprire antichi saperi e tradizioni,  per partecipare alla crescita di se stessi e della propria comunità.

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