Il coraggio di Draghi non basta più

La Bce ha battuto gli speculatori, contro la recessione tocca ai governi
30 Ottobre 2014 - 16:30

Pronto, Orietta?

Pronto, eccomi!

Ti ricordi? Esattamente un anno fa abbiamo fatto una chiacchierata sulle misure prese dal governatore della Banca centrale europea Mario Draghi per far fronte alla crisi. Ora, da qualche giorno i riflettori sono tornati sull’operato della Bce…

Già, domenica scorsa sono stati resi pubblici i dati degli stress test condotti dalla Bce su 130 grandi istituti bancari europei di cui 14 italiani. Lunedì 20 ottobre è partito il piano di acquisti da parte dell’Eurotower di azioni garantite. E a settembre è partita la prima tranche dell’operazione Tltro, la successiva sarà a dicembre.

Piano, piano… Cosa sono queste nuove manovre messe in campo dalla Bce?

Già durante quest’estate la seppure timida crescita dell’economia ha mostrato chiari segni di debolezza con la locomotiva Germania in frenata e gli altri “vagoni” al seguito incapaci di tornate in terreno positivo. Gli interventi di Draghi, quindi, dal 2011 a oggi, hanno dovuto rispondere a obiettivi diversi. Allora doveva scongiurare il fallimento dell’euro evitando il fallimento dei Paesi periferici; oggi deve far ripartire l’economia reale, stimolando la domanda di credito. Nel 2012 ha raggiunto l’obiettivo, oggi non è detto.

Che cosa ha fatto concretamente allora? E cosa sta cercando di fare ora?  

Da quando si è insediato Draghi ha cercato di fare tutto il possibile. Ha costantemente abbassato il tasso ufficiale di sconto, oggi prossimo allo zero. E ha messo in atto diverse operazioni non convenzionali.

Cosa significa tasso ufficiale prossimo allo zero?

Il tasso ufficiale di sconto, o tasso di riferimento, è quello da cui si parte per il calcolo delle rate dei mutui a tasso variabile: sotto la gestione Draghi è sceso dal 1,5% all’attuale 0,05%. È il valore medio di altri due tassi: quello di deposito, il tasso a cui la banca centrale remunera le banche che depositano presso di lei i soldi; e il tasso di rifinanziamento, ovvero quello che fa pagare alle banche quando impresta loro dei soldi. Bene, oggi il tasso di deposito è addirittura negativo (-0,20%). Questo per scoraggiare le banche a depositare i propri soldi presso la Banca centrale europea, e incentivare al contrario la circolazione del denaro. Mantenere dei tassi così bassi non è mai stato fatto, ed è una scelta coraggiosa.

E le operazioni non convenzionali?

Draghi si è insediato al governo della Bce a maggio del 2011, poco prima dell’attacco speculativo ai titoli di stato periferici, primo fra tutti, quelli italiani. L’Italia ha rischiato fortemente il fallimento, perché con quei tassi così alti sui propri titoli, gli interessi sul debito pubblico non erano sostenibili. Gli speculatori hanno scommesso sul fallimento del nostro Paese. Ma l’Italia è la terza economia europea: se salta l’Italia, sicuramente salta anche l’euro. La Bce allora, per la prima volta nella sua storia, ha distribuito liquidità con il cosiddetto Ltro (per due volte: fine 2011 e inizio 2012), prestando alle banche soldi da restituire in tre anni al tasso dell’1%. In cambio ha accettato qualsiasi titolo come garanzia, spesso anche carta straccia...

Ma i soldi immessi dalla Bce si sono fermati alle banche e non sono giunti alle persone e alle imprese…

Infatti è stato così. Con quei soldi le banche hanno comprato titoli di stato dei Paesi periferici, tra cui l’Italia. In questo modo lo spread è sceso, scongiurando il default italiano, e in definitiva la crisi dell’euro. Il debito italiano, che a fine 2011 era per il 65% in mano estera, dopo l’operazione Ltro è stato riportato per il 70% dentro i confini italiani, fatto che ci mette un po’ più al riparo da nuovi attacchi speculativi.

Di fatto la “ricompensa” per le banche non è stata poca cosa: con il carry trade, ovvero prendendo a prestito soldi all’1% dalla bce e investendo in titoli di stato periferici che rendevano il 4 o il 5% , si sono assicurate notevoli margini di guadagno. I margini provenienti dalla gestione finanziari sono stati quelli che nel corso del 2013 e 2014 hanno permesso di poter svalutare i crediti deteriorati e fare un po’ di pulizia sotto i tappeti in vista del Quality Asset Review di questa settimana.

Dunque l’obiettivo delle operazioni Ltro non era di stimolare l’economia reale…

Diciamo che l’emergenza prima era il salvataggio dei debiti pubblici europei. Anche nel settembre 2012, Draghi puntava a questo, osando e dichiarando l’impossibile: di essere pronto, cioè, ad acquistare titoli di stato dei Paesi periferici sui mercati secondari in caso di svendite speculative. Ora, a differenza della Fed, la Bce in teoria non può agire direttamente sui mercati finanziari, ma solo verso le banche. Anche in questo caso Draghi è stato molto coraggioso. Perché di fatto tale dichiarazione è stata un bluff, ma riuscito.

Quindi Draghi si è mosso molto bene…

Diciamo che nei limiti imposti dallo statuto Bce in quella prima fase ha fronteggiato l’emergenza. Ma ora, soprattutto se guardiamo all’Italia, siamo in recessione, alta disoccupazione e pure in deflazione.

E cosa sta facendo allora la Bce?

Ha lanciato di nuovo un’offerta di liquidità alle banche, ma stavolta con un vincolo di destinazione: dare credito a famiglie e imprese. Questa volta si parla di Tltro (Targeted long term refinancing operation): “targeted”, cioè con un obiettivo. Però…

Però?

Nella prima delle due tranche previste, quella di settembre, le banche non hanno richiesto tutti i soldi che erano disponibili.

Quindi obiettivo non raggiunto?

Bisogna vedere come andrà la tranche di dicembre, ma sicuramente i segnali non sono positivi. Gli investimenti sono ai minimi. La Bce, grazie a Draghi, ha fatto la sua parte. Ma da sole le autorità monetarie non sarebbero in grado di invertire la tendenza, anche nell’ipotesi di manovre più espansive. In realtà qui la partita deve essere giocata da tutti gli attori.

Ti riferisci alla politica? Ai governi?

Certo, primo tra tutti quello tedesco. In Germania c’è un tale surplus di bilancio da poter puntare seriamente a piani di rilancio degli investimenti, e quindi di stimolo alla domanda interna all’eurozona. Ma il governo tedesco non sembra dell’avviso. E neppure gli imprenditori: è notizia di martedì scorso che nel mese di ottobre la fiducia delle imprese tedesche è ulteriormente scesa, registrando i valori  peggiori dal dicembre 2012.

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