Lo stato dell'economia
La vittoria del no al referendum non ha portato al crollo delle borse. Come spiega Walter Riolfi sul Sole, un tentativo speculativo c'è stato, ma all'inizio della settimana ed è fallito. Invece, nonostante la sicura crisi di governo (con dimissioni di Renzi rimandate a dopo l'approvazione della manovra di bilancio), Piazza Affari ha solo limato gli indici (FTSI Italia All-Share -0,21%) lunedì e a metà giornata di martedì 6 dicembre segna un deciso rialzo, oltre il punto e mezzo.
I rischi sono altrove e riguardano molto di più il futuro delle banche. Anzi di una in particolare, come sottolinea il Financial Times: il Monte dei Paschi di Siena. Non per niente, la settimana del referendum era partita dal “lunedì nero” di Piazza Affari frutto anche della pessima valutazione del Financial Times sui rischi per otto banche italiane in caso di bocciatura della riforma costituzionale. Monte dei Paschi, nel giorno del via all'annunciato piano di conversione di quattro miliardi di obbligazioni in azioni, ha perso così il 13,8%.
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Donald Trump ha annunciato che il 15 dicembre annuncerà in una conferenza stampa come “abbandonerà” la sua azienda per evitare il conflitto di interessi con il suo nuovo ruolo politico. L'azienda, di fatto, passerà in mano ai figli – che lui vede quotidianamente – per cui è onestamente un po' difficile pensare che non discuteranno mai di cose succede nella società, ma soprattutto sembra anche difficile da un punto di vista tecnico trovare una soluzione, esclusa la vendita, che possa essere ritenuta realmente efficace per evitare conflitti d'interesse con diversi Stati nei quali Trump fa affari. Trattandosi di un immobiliarista, infatti, il classico “blind trust”, cioè l'affidamento a un soggetto terzo e neutrale della guida dell'azienda non è altrettanto efficace che nel caso di un patrimonio fatto prevalentemente di titoli e attività immateriali.
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Dopo otto anni, i Paesi produttori di petrolio si sono accordati per tagliare la produzione di 1,2 milioni di barili al giorno, scendendo così a quota 32,5. Una notizia che, come auspicato, i mercati hanno preso positivamente, segnando un incremento del prezzo del barile di circa il 10%.
Oltre lo specchio
Mentre l'economia venezuelana barcolla sempre più, specie a causa del calo del prezzo del petrolio, alcuni giovani informatici e smanettoni hanno deciso di diventare “minatori” di bitcoin per guadagnarsi da vivere. Un mestiere rischioso perché se si viene individuati dalla polizia c'è da mettere in conto una denuncia e un tentativo di estorsione per impossessarsi della preziosa valuta virtuale. Il gioco però vale la candela, pare, in un Paese in cui l'energia elettrica è comunque un bene accessibile mentre è sempre più difficile trovare un lavoro, quelli disponibili sono fortemente sottopagati e cibo e medicinali scarseggiano.
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Il presidente indiano Narendra Modi ha deciso, a sorpresa, l'8 novembre scorso di mettere fuori corso le banconote da 500 e mille rupie a partire dalla mezzanotte del giorno stesso. L'obiettivo di questa decisione, spiega Mediapart, era contrastare la corruzione, estremamente diffusa nel Paese, ma l'esito immediato è stato generare il caos tra i cittadini. Molti di loro, infatti, si sono trovati spiazzati nell'avere così poco tempo a disposizione per andare a cambiare le banconote e soprattutto le banche non avevano sufficiente carta moneta nel nuovo formato per poter sostituire le banconote circolanti fino allora. Risultato: è diventato difficile fare la spesa, comprare un biglietto del treno o pagare una consumazione in un ristorante perché non ci sono soldi per dare il resto. E la situazione va avanti così da quasi un mese (qui le tappe della vicenda, riassunte da Quartz).
Bonus track
§ In settimana si è parlato parecchio anche di bufale, a partire dall'inchiesta condotta da BuzzFeed su alcuni siti legati al Movimento 5 Stelle che diffonderebbero notizie false e non verificate: Il Post ha fatto una ricerca sui servizi pubblicitari che questi e altri siti utilizzano, con relativa semplicità, per fare guadagni facili a suon di click. Il resto lo fa la diffusione sui social dove le notizie sono veicolate con post dai titoli sensazionalistici. Se Google e Facebook, dopo il caso Trump, hanno promesso di intervenire, non vale altrettanto per gli altri gestori pubblicitari.
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