Italia tra declino e rilancio

Ottimisti e pessimisti divisi sul futuro, ma in comune c'è molto
16 Ottobre 2013 - 16:15

Tra tenebre e luce. In un momento davvero critico della storia d'Italia nel nostro Paese ci si schiera, sempre più spesso, su due fronti: gli ottimisti della volontà e i pessimisti della ragione. Divisi dal modo di leggere i numeri, ma soprattutto divisi sulla lettura del Paese. Per i primi, nonostante tutto, l'Italia è viva e ha ancora grandi chance. Per gli altri, il nostro Paese sta videndo il suo momento più buio, forse una Grande Depressione. 

Tra i primi si segnalano i firmatari del manifesto Oltre la Crisi. L’Italia deve fare l’Italia:nella immagine di copertina lo abbiamo ricostruito con un wordcloud. Presentato mercoledì a Roma da Fondazione Edison, Unioncamere e Symbola, è stato siglato da diversi esponenti del mondo imprenditoriale che non vogliono setire parlare di declino. Ferruccio Dardanello, presidente Unioncamere, Marco Fortis, vicepresidente Fondazione Edison, ed Ermete Realacci, presidente Symbola, non nascondono i mali del Paese (debito pubblico, diseguaglianze sociali, economia in nero e criminale, ritardo del Sud, burocrazia), ma sostengono che "il giudizio negativo sull’Italia nasce da un clima di enorme, e pericolosa, confusione che tocca l’opinione pubblica interna, gli addetti ai lavori, gli osservatori e gli investitori stranieri”, come dice Marco Fortis.

In pratica - è la loro tesi - le potenzialità del sistema Italia sono ancora intatte come dimostra la vivacità di imprese, turismo e agroalimentare sui mercati internazionali. Fortis sottolinea che “nel 1999 il nostro Paese era quinto nell’UE-27 per saldo commerciale normalizzato nei manufatti, nel 2012 è salito al terzo posto”. E pure che “ secondo l'Euostat, tra ottobre 2008 e giugno 2012 il fatturato estero dell’industria italiana è cresciuto più di quello tedesco e francese”. E ancora: nel 2012 “siamo stati tra i soli cinque paesi al mondo - con Cina, Germania, Giappone e Corea del Sud - ad avere un saldo commerciale con l’estero superiore ai 100 miliardi di dollari, per i manufatti non alimentari”. Insomma, l'Italia non è vittima della globalizzazione. E' vittima, piuttosto, della debolezza del suo mercato interno.

Il manifesto propone allora una ricetta non nuova, che mai davvero attuata: “una politica industriale che faccia perno sui  nostri pilastri - manifattura, turismo, cultura, agricoltura – e sulla green economy”; “una politica fiscale che sposti la tassazione dal lavoro verso il consumo di risorse, la produzione di rifiuti, l’inquinamento. Che incentivi la formazione, l’inclusione sociale e il contributo dei giovani e delle donne alla società e all’economia italiane. Che sostenga gli investimenti per competere nell’economia reale a scapito di quelli per fare speculazione sui mercati finanziari”. Propone di “incentivare la ricerca, l’ICT e l’innovazione non solo tecnologica ma anche organizzativa, comunicativa, di marketing. Sostenere gli sforzi di internazionalizzazione del manifatturiero, delle filiere culturali e turistiche”. E così via, continuando con lotta all'illegalità e riduzione della burocrazia, migliori reti materiali e immateriali e promozione internazionale del Paese.

Poi ci sono altre analisi. Come quella che emerge dall'ultimo rapporto del Cer, Centro Europa Ricerche di cui parla in questo articolo sul Sole-24Ore Stefano Natoli. «Barche controcorrente risospinte senza posa nel passato»: una citazione da Francis Scott Fitzgerald per dire che «l'economia italiana continua ad arretrare» e che a fine anno il Pil e il numero di occupati saranno «risospinti» sui livelli del 2000. Il Cer parla esplicitamente di Grande Depressione italiana, del periodo peggiore dell'Italia unita: le cifre dicono questo, in fondo. Ben più di altri Paesi europei l'Italia ha subito gli effetti della crisi nella riduzione dei redditi e nel crollo del 23% della produzione industriale dal 2008 a oggi.

E allora, chi ha ragione? Forse entrambi, perché le cifre dicono cose diverse e diversamente vanno valutate. La crisi italiana è davvero pesante e soprattutto lunga: il rapporto del Cer stima che il Pil italiano sia otto punti e mezzo sotto il livello di inizio crisi. E i segnali di un miglioramento sono debolissimi. Eppure è altrettanto innegabile che le buone performance dell'export italiano riportate dalla Fondazione Edison rivelino una vitalità innegabile del sistema manifatturiero italiano, pur ridotto di quasi un quarto.

Ma dove ottimisti e pessimisti sono proprio d'accordo è sull'indicazione di fermare l'austerity e puntare su politiche di sviluppo. E questa è un'indicazione che si ripete sempre più spesso. I brodini leggeri, all'Italia, non bastano più.

Aggiungi un commento

0